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sabato 30 maggio 2009
A Pruvidenza
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domenica 24 maggio 2009
Cani grassi e ccani lienti
‘Nu cane, pella ed ossa ridduciutu
Dìssedi a ‘nn’autru cane, chiattu chiattu:
- Se po’ ssapire cumu pesta hai fattu
Ppe’ tte ‘ngrassare tantu a ‘nnu minutu?
Pari, santudiàmmanu, ‘na vutte,
Mentre, pardiu, ‘st’astate
Ti se vidìenu tutte
‘E povare custate!
— Eh, bbiellu miu, a ‘stu munnu
Cce vo’ ssapire fare;
Unu s’ha dd’arranciare
Si se vo’ffare tunnu,
Ed iu, se sa, m‘arranciu...
Dduve cchiù mmiegliu manciu.
‘Stu ‘mprima, ccu ‘nn’avaru
‘Ncappai de piecuraru,
E, ccumu ca ‘n dinaru
‘E spise me facìa,
L’ossa de fore avìa;
Ma mo sugnu a ggarzune
Ccu ‘nn ‘àncilu ‘e patrune,
Chi me vo’ ttantu bbene
E mme tratta cchi mancu.
Figùrate, me tene
A ccasu e ppane jancu.
Vìenice puru tu. Cchi mministalla!
A ru mise te fai cumu ‘na palla!
- Quasi quasi vinèradi; ma llà
Va vide cchi ffatiga chi se fà!
‘U juornu a ccaccia, ‘a notte guardianìa
Ed iu chiù viecchiu sugnu,
‘A virità, m ‘addugnu
Ca nud’è ccosa ‘a mia.
— Ah, chi te vija ssantu!
Si fatigare tantu,
Juornu e nnotte, s’avìa,
Te pare ca iu cce jìa?
Llà bbasta mu te stai,
D’’a sira a ra matina,
Ligatu a ‘nna catina
Senza latrare mai.
— Davèru? — Chista è ffide! Vienitìnnne!
- Gnornò, ccumpagnu caru.
‘A libertà ‘u’ sse vinne
Ed iu, ppe’ nnun purtare ‘ssu cullaru,
Prefirisciu a ra fossa.
Scinnìre pelle ed ossa! —
Vittorio Butera attacca potenti e prepotenti
Se è compito della satira attaccare i potenti e castigare mores, con i suoi componimenti li Cunti dell'antico genere favolistico, Vittorio Butera (poeta dialettale originario di Conflenti) svolge questo ruolo senza risparmiare nessuno: i terrieri della società agraria che si comportano da piccoli baroni; il regime fascista e i suoi seguaci; le prepotenze d'ogni genere; i comportamenti dei suoi conterranei, presi a campione dell'umanità.
Vissuto tra la lunga fine della società agricola nel meridione d'Italia e !'inizio del sistema industriale, Butera attraversa tre fasi politiche della storia nazionale: la monarchia, il ventennio fascista, gli inizi della democrazia repubblicana. Nell'Italia post-unitaria trascorre l'infanzia, l'adolescenza e la giovinezza. Per quanto questo periodo sia caro al suo animo perché vissuto in parte ma intensamente nella terra d'origine, lungi dal ritrarlo aureolato dalle nostalgie, lo vede nella drammatica realtà fatta di residui feudali, di ingiustizie ataviche, di ferite aperte dalla questione meridionale. Ancora più pesante la fase successiva della dittatura che annienta la libertà, la solidarietà e altri valori atavici su cui si erano rette le piccole formazioni sociali dell'epoca agraria. Quella attaccata da Butera è una società senza riscatto, destinata a concludersi con l'abbandono dei paesi e delle campagne del meridione.
Pur appartenendo alla classe dei proprietari terrieri, il poeta s'indigna nel veder trattare i contadini come schiavi, e rappresenta lo prepotenza vincente del padronato nella fabula "'U trappitaru e ra ciuccia": un asino nel tentativo di ribellarsi allo sfruttamento chiede perché sia stato ribassato il prezzo del suo lavoro; di fronte al padrone che afferma l'arrogante indiscutibilità del suo volere: "Ppecchì de ccussì bbuog/iu\ si nno te mannu a spassu"; l'asino vorrebbe reagire: "'A ciuccia ppe' ra stìzza\ chi le saglìudi 'n canna\ vulìa rrumpire 'a vriglia e ra capizza\ppe' lIe dare due cauci a cchira bbanna", però, cadendole sotto gli occhi la sua puledra, è costretta a reprimere l'indignazione e ad affidarsi a una giustizia diversa da quella terrena: "E ccu nna rivirenza \ disse: -Patrù, faciti\ cumu vussignurìa miegliu criditi... \e ra manu de Ddiu ppemmu cce penza".
I soprusi esercitati nel corso dei secoli tramite il malgoverno, così consueti da essere percepiti dalle masse popolari come calamità ineliminabili e naturali, si traducono in fame e in disuguaglianza nei confronti della legge. Una delle favole, "A cuniglia e ra duonnula", è pervasa da una particolare indignazione perché vittima dell'abuso è una coniglia prossima al parto. Scavatasi una tana, la puerpera si strappa i peli dal petto per preparare un morbido giaciglio ai nascituri; ecco però, che approfittando della sua uscita alla ricerca di un'ostetrica, una donnola vi si insedia. Quando la coniglia torna, si sente dire che la legge Pica è decaduta e che la legge nuova tutela chi occupa una casa con lo porta aperta: '" na tana senza porta, \ e ppe' dde cchiù bacante, \ è dd'o prim'occupante, \ pìeju ppe ttie si quannu si' nnisciuta\ u' /l'hai chiuduta!"; quindi, l'usurpatrice minaccia di querela la coniglia che, per non finire a partorire in galera, "s'appedi de scavare n'autra tana\ a 'nna trempa luntana".
Se il titolo di un componimento recita" 'A legge è gguala ppe tutti", dal contenuto se ne capisce lo valenza ironica: zu Micu affida al suo cane l'attenta sorveglianza del ramo di un fico che dall'orto confinante di zu Ndria pende nel suo, perché, afferma: "U codice civile\ dice ca dduve penne\ /'àrvulu renne". Quando, però, una cima del suo limone va a pendere nell'orto adiacente, chiama il cane a fare la guardia affinché il vicino non raccolga i limoni, e al cane che evidenzia la contraddizione del suo comportamento dice che di codici "cci nn'è cchiù d'unu - E' naturale!\ cc'è ru civile e cc'è ru criminale\,e, nnestra, car'amicu, \ cci nn'edi unu ppe Ndria, n'autru ppe Micu". Il poeta è disposto a sorridere della pretesa di zu Micu che vanta un codice tutto per sé, perché l'antagonista è una persona di pari condizione sociale, ma il sorriso bonario scompare e subentra il riso amaro qualora il torto sia subito dai deboli. E' quanto succede in "U cane e ru gattu", dove un cane, ricorrendo alla corruzione, fa condannare" nu povaru pizzente \ de gattu scangalatu" a trent'anni di galera con l'accusa di avere maturato l'intenzione di rompergli le zanne.
Le idee politiche di Vittorio Butera, in senso partitico, non emergono dai versi; è invece chiara la posizione contro il fascismo. Nelle varie sillogi figurano sia lazzi lanciati in modo diretto contro il potere fascista, sia attacchi velati dall'ironia o contenuti nella metafora. In molti casi è significativa la datazione, che solitamente manca nei componimenti privi di implicazioni politiche. Il suo è un antifascismo integrale che, pur scaturendo essenzialmente dalla mancanza di libertà prodotta dal regime, si estende ad ogni iniziativa, ad ogni aspetto del partito totalitario e della politica del duce: il concordato, la guerra, la sterile propaganda; persino l'introduzione degli acquedotti gli offre lo spunto per la contestazione. In "'A funtana 'e Fruntera", il poeta ironizza sull'avvento improvviso dell'acquedotto, che una mattina con discorsi propagandistici e un grande sventolare di bandiere arriva a interrompere bruscamente usi e comportamenti atavici; la gente abbandona la vecchia fontana, perché "'sta gente nostra è sempre stata\ o 'ngrata o trafaccèra", finché, crollato l'acquedotto per una frana, torna alla sorgente. L'attacco alla gente infedele e voltafaccia apparirebbe esagerato se non occultasse la condanna della facilità a passare al nuovo (in tal caso, al fascismo), e la leggerezza nell'abbandonare i vecchi valori per aderire a quelli di un regime che avrebbe travolto la libertà e portato ai disastri della guerra.
Il gusto macchiettistico prevale in "Duce 1922", dove i fascisti sono rappresentati come priscari, ossia pupazzi che fanno i bambini utilizzando "'na mmerda de vue". Il duce non figura in quella squadriglia, perché i bambini non dispongono a sufficienza del poco nobile materiale per riprodurne la massiccia immagine. Più graffiante" Surchi", datata 7 settembre 1942; il poeta fa rappresentare gli insuccessi bellici dell'asse Roma-Berlino da un porcospino, che ha assicurato un destino straordinario, e invece trova l'Inghilterra a capovolgere i suoi piani. Il sarcasmo sulle promesse del duce è accentuato in "Mete", scritta il 15 settembre del 1942 quando sono ormai chiari i traguardi raggiunti con il fascismo, cioè "'no mo/'onnota, \ a fame e ra dieta".
Tra le satire in cui l'antifascismo viene espresso con linguaggio traslato è da annoverare "L'Urzi", che porta la data 1 aprile 1934, cioè piena epoca fascista. Interpretando il testo da un'ottica politica, gli orzi scuri s'identificano con le camicie nere, e gli antitetici orzi bianchi con gli antifascisti. I neri vantano di avere tutto il popolo dalla loro parte; i bianchi dicono che loro non possono porsi in evidenza, però osservando attentamente ognuno può scoprire la densità delle loro file. In "A quaglia e ra jocca", il finale molto duro "cchi razza de canaglia\chi foze chira quaglia!" più che la condanna di spie comuni fa presupporre la riprovazione dei delatori fascisti, responsabili di avere messo a rischio il valore antico della fiducia e della solidarietà nei confronti dei propri concittadini, persino rispetto ai vicini, che in quella formazione sociale ancora di tipo agricolo avevano costituito un circuito di reciprocità molto solido. Può darsi che "Capituosti", cioè coloro che non si lasciano convincere a cambiare le proprie idee e i propri comportamenti, datata 20 ottobre 1935, trovi i naturali referenti tra amici e conoscenti del poeta; a Conflenti, infatti, era presente un gruppo antifascista collegato al più numeroso nucleo lamentino, che non si lasciò intimidire dalle purghe e dalle manganellate delle camicie nere locali. L'esclamazione "Ah, quanta ggente 'ncanta\quannu nu ciucciu canta!", con cui si conclude di componimento" Lunatici" datato 7 novembre 1934, sembra riferirsi alla propensione che dimostrarono le masse a lasciarsi convincere dai discorsi propagandistici, dalle ostentazioni di grandezza, dalle vanagloriose promesse del duce.
E' anche allusivo il valore politico nei versi di "'A Cerza e re canne". Una selva di canne ondeggia su una sponda fluviale piegandosi .ora da una parte, ora dall'altra ai soffi del vento: "Ccu l'anima vacante\ e nna bannera l'una\ ad ognr flotta 'e luna\, s'è chjicanu da banna\ chi ordina e cumanno"; sull'altra riva, giace una quercia abbattuta dalla tempesta. Ma, le canne vive e vegete non valgono quanto la quercia morta, che continua ad essere utile offrendo le sue spoglie per il focolare della gente: "Vale cchju na Cerza morta\ ca trimila canne vive". le canne si prestano ad essere metafora delle banderuole, mentre nella quercia s'identifica chi è capace di sacrificare la vita in difesa di un ideale. Siccome, però, il sacrificio della vita non può essere accettato a cuor leggero, la coscienza del poeta entra in crisi in "'U pinu e ra canna": qui è il pino a non piegarsi al vento, perciò viene ridotto in tanti pezzi che sembrano corpi mutilati di soldati" munti munti ammuzzillati, \ paru cuorpi de surdati\ stisi 'nterra\ doppu 'a furia de 'no guerra"'; è una evocazione troppo forte per non sollevare un'interrogazione carica di angoscia a cui il poeta non fornisce risposta: "Miegliu canna o miegliu pinu?". la quercia si afferma ancora come albero della libertà in "'A Cerza e ra mierula", dove il riferimento alla politica si deduce dal richiamo alla "libertà": la quercia dai rami recisi a colpi di scure germoglierà ancora più vigorosa, perché, afferma il merlo, la repressione violenta ha sempre rigenerato il desiderio della libertà: "Cchjù ri cuorpi sunu stati arditi\ cchjù d'illa 'e cientu banne edi jittata\ e ppe ra libertà nn'ha sempre datu\ 'a pampina cchjù birde chi sapiti".
A pochi giorni dal Concordato (17 febbraio 1929), Vittorio Butera scrive l'epigramma "Sincerità", per esprimere non il messaggio dichiarato dell'insincerità delle donne bensì la perdita di valore della politica vaticana ("nu sordu papalinu'
Non figura la data nel componimento "'U grillu zuoppu", ma è certamente posteriore alla fine della dittatura. l'ultima strofa, infatti, celebra il ritorno alla libertà riscattata con lo spargimento del sangue: "Mu è sempre benedittu \ u sangu chi se spanne, \ si 'n terra lasso scrittu, \ ppe' mparamientu de l'umanità: \ Viva ra libbirtà".
Quando finalmente la democrazia conferisce pari dignità a tutti e, nella prospettiva di una crescente giustizia e uguaglianza, le distanze tra i cittadini si accorciano, Vittorio Butera consente a se stesso di mettere in satira le prime manifestazioni politiche della gente comune. Sono i risultati del referendum del
Mentre il mutamento politico dopo la guerra ha la repentinità delle rivoluzioni con il passaggio dalla monarchia alla repubblica e dalla dittatura alla democrazia, la situazione socio - economica si evolve con lentezza. Il poeta assiste ai primi fenomeni dell' evoluzione industriale, quali l'emigrazione di massa e l'abbandono delle campagne e non risparmia lazzi ai nuovi comportamenti sociali, come il disinteresse per il lavoro agricolo che riduce la sua vigna ('A vigna), un tempo produttrice di vino e uve pregiate, in un terreno selvaggio.
Vittoria Butera
martedì 19 maggio 2009
‘U cucùlu e ru piecuraru
‘Ntramente ‘nu cucùlu, a ‘nna vuscaglia
Se facìa cchira sòlita cantata,
‘Nu piecuraru disse: — Cchi ccanaglial
Ppe’ chissu cce vulèra ‘nna pallata!
_- E pecchì, ppovariellu?-
Disse nnu crapittiellu.
-Canta dde ‘na manera
Chi parca se dispera
e ttu vue mu le spari?
Cumu siti briganti i piecurari!
-Brigante è ‘ssu cantante,
Nod’iu chi l’ammazzèra
Ppe’ tante e re tante
Prudizze chi sa ffare a pprimavera...
- Cucù! - Sìentilu, siè’. Te pare cchiantu,
a ttie, ‘sta sorta ‘e cantu?
A mmie me pare cchiù ca rassimiglia
A ra risata chiatta
D’unu chi te l’ha ffatta
E sparte, vo’ ppe’ cciùotu mu te piglia.
-Ma cchi tte fà, ‘u’ mme dici?
-A mmie, pirzunarmente,
‘u’ me fa ppropiu nente;
ma a r’aggilluzzi amici,
sempre chi po’, le duna
de pattrita a curuna!
- Daveru? Tu cchi ddici?
Anzica no! Cumporma t’abbiletta
‘nnu nidu de fravetta,
cùrredi, si cce assetta
E, llestu cumu vientu,
‘N’uovu d’i sue cce jetta,
A ttradimientu.
Ppeccbì, mmentre le piace
Ll’ovicella de fare,
L’amicu se dispiace,
Quant’è speculativu! d’‘e ccuvare.
Nun sulu, ma, cumporma fàu ri vili,
Nu’ mmulesta ri granni,
Chi le pùotu ri pili
Scuotulare d’i panni,
Ma va ttissiennu ‘nganni
A ri cchiù ppiccirilli:
Ruvazzi, cudichiàttule,
Viscignuoli, rijilli.
Iu, crapitti, nu’ ssugnu
Ca ‘nu povaru, affrittu piecuraru;
Ma ‘sse cose, pardiu, nu’ re ppirdugnu;
L’unure a mmie m’è ccaru
Cchiù dde ‘ssa luce chi me chiove ‘mpaccia
E, ss’unu ‘u’ ru rispetta, paru paru,
Le jaccu u core ccu ‘sta menza gaccia.
— Cucù! Cucù! — Chi sa quale mischinu
Oje cc’è ccapitatu!
Pìenzica ha bbuzzaratu
‘A povara parrilla
Chi cuva a ‘ssa nucilla.
Vigliaccu! È’ ‘nna simana
Chi ‘ssa ‘mpilice ‘u’ bbaca;
Prima purtannu lana
Jintile ppe ra naca
E pue facìennu l’ova,
‘A razza mu rinnova...
Ed èccute ca moni,cuva, cuva
È ccapace mu scuva,
‘Mparte de ‘na parrilla,’nu cuculu
A cce pinzare sulu,
Vide ca, catinazzu,
Cc’è dde niscire pazzu!
—Cucù! Cucù— Pùozzu parrare
Ppe’ ‘nnu minutu sulu?
Cucudijau ccuculu,
Chi se sintìa ru ficatu strazzare.
— Tu vide ‘e quale pùrpitul
‘A priedica me vene!
D’unu chi, santudiavulu,
‘Mpigna ppe’ ffacce tene!
Si tu, de quannu ‘e l’uovu si scuvatu
Hai sempre ‘u malu ‘ncrimine tenutu
De mètere dduv’aùtri ha simminatu,
Si de quannu si’ nnatu,
Sempre chi t’è rrisciutu,
‘E piecure de l’autri hai carusatu
E nnisciunu riguardu hai mai tenutu
Mancu, ppe’ Jjuda, ppe’ ru parintatu
Me sai dire ‘ssu scrùpulu
Moni, de dduve pesta t’è bbinutu?
Si tu, ‘nzo dduve passi
Ova a bbizzeffa jìetti,
S’ogne ffravetta apprietti
E qqueta una ‘u’ nne lassi
Ppecchì tte maravigli
Ca iu nun cuvu figli?
Chine te sente, pensa,
spegge s’è ‘nnu ciutale,
Ca tra de nue cce sta bba vide quale
Pardiu de diffirenza.
E, bbiramente, ad essere sinceru,
Una cce sta ddaveru:
‘U figliu miu, qualunque è ru spinaru
Dduve vene scuvatu,
Se chiama, ccumu mmie, sempre cucùlu;
‘U tue se chiama mmulu...
E cchissa è ll’unistà d’ ‘o piecuraru! —
sabato 16 maggio 2009
Lettura di poesie a Chivasso
lunedì 4 maggio 2009
Franciscu, Fidile e GGatanu
Cumpari Franciscu,
Sidutu a ‘nnu friscu,
Se preja’ ra vigna
Ch ‘a ccùnchiere ‘ncigna
E, ttuttu fllìce,
Le dice:
— Hai vistu ccu qquantu
Amure te chiantu?
Te zappu, te putu, te ligu,
Te’ ‘nzurfu e ssulligu.
‘U mise d’agustu
M’affriggiu7 s’hai site...
- Ca pienzi a ru mmustu!
Le disse ra vite.
Cumpari Fidile,
De putu summastru,
‘U mise d’aprile
Se ‘nzerta ‘nn‘ugliastru
E, ttuttu filìce,
Le dice:
— Chiantune, curaggiu!
Nascisti sarvaggiu;
Ma iu, ccu ‘ste manu,
Te fazzu cristianu!
A ddire ‘u’ ss’arriva
Chi bbene te vùogliu...
— Ppecchì ppienzi all’uogliu! —
Le disse r’aliva.
Unnija’ ru grànu,
Si jata ru vientu.
Cumpari Gatanu
‘U guarda ccuntientu
E, ttuttu filìce,
Le dice:
- Filillu de paglia,
Hai vistu battaglia.
Ppe’ ttie chi cummattu
Mu crisci cchiù cchiattu?
Vicinu o luntanu,
Nne fazzu fatica...
- Ca pienzi a ru granu! —
Le disse ra spica.