La poesia di Vittorio Butera
La poesia di Vittorio
Butera, per tanti di noi, ha il potere magico di riportarci indietro
nel tempo " A ttiempi e mo luntani un sse sa qquantu ",
" a ri felici tiempi e quatraranza " quando
" a nanna filava chianu, chianu 'tramente me cuntava 'nna
rumanza". Essa ci dà la
possibilità di rituffarci nel passato e ritrovare e rivivere tante
storie di gente e d'animali che Butera racconta con lo stesso
linguaggio, lo stesso tono sommesso dei nostri avi e, come allora con
una morale già implicita nel racconto.
Con
lui si ha l'impressione di accompagnarci a un vecchio amico che ci
prende per mano, e, con un sorriso bonario, ci guida tra i luoghi del
paese a lui familiari, raccontandoci fatti, descrivendoci paesaggi,
facendoci conoscere persone , animali e cose.
Con i
suoi " cunti " s'intraprende un viaggio in cui
mutano frequentemente luoghi e personaggi e nel quale vengono fuori
tante storie caratteristiche dell'ordinaria vita quotidiana di un
piccolo paese contadino: piccole furberie, invidie ( u mierulu e
ru viscignuolu; u grillu criticu), gelosie, adulazione (
risuglia); atti di prepotenza ( u voi), gesti d'amore (
Mamma Carmela) e di generosità.
Il
mondo popolare ha sempre offerto una materia ricchissima e
vivacissima di fatti e sentimenti e in " questo mare"
Vittorio Butera pesca a piene mani rispettando con obiettività la
psicologia del popolo. Egli lo attraversa col passo tranquillo di
chi " canusce cum'è fattu u e
bba ru munnu"
e lo sguardo benevolo e sottilmente ironico di chi ha piena
comprensione per gli errori umani; "
nulla parola d'odiu o de minnitta",
ma un sereno raccontare le cose di chi capisce che il popolo deve,
suo malgrado, abbassare la testa e industriarsi per sopravvivere. Un
insieme di quadretti di vita quotidiana che avrebbero potuto
svolgersi in qualsiasi parte del globo perché l'uomo è uguale
dappertutto: con gli stessi difetti e le stesse virtù.
Entrare
in questo mondo è come immergersi in un paesaggio da favola, dove
anche gli esseri inanimati acquistano connotati umani. La cosa
non ci meraviglia più di tanto perché viene fuori la nostra
sensibilità di bambini che dà vita a tutto, sia perché si sa
che quando si vive in una località si crea tra le persone e
l'ambiente esterno un rapporto tale che il colloquio è continuo. Si
creano complicità; ci si influenza vicendevolmente; si afferrano le
reazioni del mondo circostante. Vittorio Butera conosce
perfettamente i luoghi e sa, con perizia, metterne in evidenza
il bene e il male, le zone di luce " e
destre"
e le zone d'ombra," " a
manchia".
La prima impressione è che egli racconti i fatti con distacco, come
un semplice cronista che evita di prendere posizione: vede i mali, ma
non giustifica, né rimprovera; lascia al lettore la facoltà
d'interpretarli. Il mondo che ci presenta è dominato dalla
miseria, diviso tra ricchi ( pochi) e poveri ( molti), ingenui e
furbi, potenti e deboli. Il clima che vi regna è quello della
prepotenza da una parte e della rassegnazione dall'altra.
Inutile tentare di modificarlo. La nostra lotta contro i forti è
destinata a fallire come quella del cane contro l'automobile (
piecure e cani),
come la palla che deve necessariamente fermarsi contro
l'ostacolo ( a palla e ri birilli);
soprattutto se manca tra di noi la solidarietà e ognuno, anche
quando subisce violenza, pensa solo a se stesso (
u gallu e ri quacentaru).
Bisogna prendere atto di questa realtà ed accettarne purtroppo i
compromessi (a licerta).
Questo
è quanto appare ad una lettura superficiale dell'opera e viene da
pensare ad un Vittorio Butera piccolo borghese, indifferente alle
grandi problematiche, estraneo agli avvenimenti storici della sua
epoca; sembra quasi che ci sia da parte sua
un certo compiacimento a mettere in cattiva luce il popolo
mostrandone i lati negativi e la sua incapacità a lottare
per modificare le cose. Ma non è così. Il poeta stesso nelle sue
due prime poesie della sua prima pubblicazione ci invita a non
fermarci alle prime impressioni, ma ad indagare più a
fondo per scoprire la vera essenza delle cose. Il canto non è
sempre canto di gioia e dietro ad una tenda di seta spesso
si cela la muffa ( U quatru e ra
tenna). E in
effetti, analizzando bene la sua poesia , si coglie la simpatia
ch'egli ha per la gente che soffre e il suo odio per le ingiustizie,
la violenza e la prepotenza.
La
filosofia di Butera è, in effetti, che l'uomo semplice non potrà
mai cambiare lo stato delle cose e dovrà necessariamente sottostare
alle prepotenze degli altri; niente di diverso, con le debite
proporzioni tra le due realtà, della povera gente dei Promessi
Sposi; ma, come nel romanzo manzoniano, qua e là nei versi di
Vittorio Butera. aleggia la presenza della Provvidenza. "
E' facile ai numi, che in cielo dimorano, irraggiare di luce i
mortali o abbassarli nell'ombra " (Odissea libro XVI). Prima
o poi arriverà il momento in cui gli umili non saranno più
costretti a subire e soffrire. Quella mano grande e potente di
Dio può in qualsiasi momento e tramite varie forme intervenire per
portare giustizia nel mondo (a scala). Lo può fare
tramite la morte che livella tutti ( Tutti guali- U voi e re
furmiche), o tramite il vento libeccio che spazza via tutto
quello che trova davanti a sé e che può togliere in un attimo,
le piccole e le grandi fortune ( Mina, libbicce). Inoltre non
è certamente per la rassegnazione chi scrive dei versi come: "
A libertà un se vinne " ( Cani grassi e cani lienti) o
ancora e soprattutto: " Mu è sempre bbenedittu, u sangu chi
se spanne, si nterra lassa scrittu, ppe ' 'mparamientu de
l'umanità: viva ra libbirtà! ( u grillu). Sono versi che
hanno un grande valore: la libertà non ha prezzo ed il sangue non si
versa invano se dal sacrificio di uno di noi, altri ne traggono un
superiore insegnamento.
Antonio
Coltellaro
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